Il lavoro del genitore è un compito veramente complesso: prendersi cura di un figlio non significa solo curare la sua salute fisica, bensì richiede anche di prestare attenzione a mille altre sfaccettature del suo benessere.
Talvolta può capitare, a fronte di momenti di maggiore complessità, che il pediatra di fiducia indirizzi la famiglia ad altri professionisti sanitari. Ad esempio, in caso di mal di pancia ricorrenti, può essere che suggerisca di rivolgersi ad un collega specialista in gastroenterologia per approfondimenti clinici; oppure, che suggerisca un controllo da un odontoiatra.
Allo stesso modo, potrà capitare di sentirsi consigliare una consulenza con uno psicologo psicoterapeuta o con un servizio di neuropsichiatria. Questa indicazione più di altre può spaventare, soprattutto quando i bambini sono molto piccoli: cerchiamo di chiarire insieme i ruoli di queste figure, per poterli riconoscere come validi alleati per il sostegno alla crescita del proprio bambino.

Cosa fa uno psicologo che si occupa di età evolutiva?
La psicologia si occupa di studiare l’infanzia e l’età evolutiva ormai da più di un secolo, con gli strumenti propri delle materie scientifiche. Dalle scoperte pionieristiche dei primi grandi autori, siamo arrivati ad un’integrazione sempre più ramificata e fine che porta la psicologia in dialogo con le neuroscienze (lo studio del cervello e del suo funzionamento) e la scienza medica, senza dimenticare le connessioni con la pedagogia e il settore educativo.
Lo psicologo psicoterapeuta dell’età evolutiva è una figura sanitaria che ha maturato una competenza professionale differente da quella medica, ma ugualmente specializzata, ed è quindi in grado di fornire una consulenza specifica sui possibili disturbi che possono presentarsi dalla prima infanzia fino all’adolescenza. Il suo ruolo è proprio quello di supportare la relazione tra genitori e figli, assistendoli nelle aree di sua competenza fino alla ripresa del normale percorso evolutivo.

La psicologia perinatale: la cura delle relazioni primarie.
Negli ultimi anni un particolare settore di ricerca si è occupato dello studio dei bambini in età sempre più precoce, già a partire dalla gravidanza: la costruzione della relazione con il figlio inizia infatti già in quest’epoca (ad esempio, ad oggi sappiamo che il bambino alla nascita è già in grado di preferire la voce dei suoi genitori ad una estranea, perché riconosce i toni che ha udito durante la gravidanza). Lo studio del periodo prenatale e neonatale ha arricchito di moltissime informazioni sulle straordinarie competenze relazionali con cui il bambino viene al mondo e che continua a costruire nella cornice fornita dalla relazione con i genitori.
Da alcuni anni anche in Italia si sta iniziando a diffondere la figura dello psicologo perinatale: si tratta di una figura ancora poco nota, che possiede una formazione professionale specialistica e in rete con gli altri professionisti sanitari (pediatri, ostetrici, ginecologi, neonatologi) può supportare efficacemente i genitori per potenziare le loro competenze in momenti diversi, dal concepimento, alla gravidanza, al puerperio e nei primi mesi e anni di vita del bambino. Lo psicologo perinatale può fornire interventi di sostegno sia per questioni legate alla normale gestione dei primi periodi di vita che in circostanze più complesse, come percorsi di procreazione assistita, lutti perinatali,prematurità o patologie congenite.

La promozione della salute per la cura del neonato
Uno dei principi fondamentali che guida la psicologia perinatale è proprio l’orientamento a percorsi di promozione della salute e di cura della relazione.
Ogni volta che si diventa genitori infatti, che si tratti della prima esperienza o meno, si creano le condizioni per una profonda trasformazione del proprio essere. C’è l’incontro con un nuovo essere umano che, a prescindere da quale via l’abbia portato in famiglia, avrà caratteristiche proprie ed uniche con cui viene al mondo. C’è un contesto ambientale determinato dallo spazio e dal tempo, che guiderà gli eventi in una certa direzione (semplificando, di rischio o di protezione). C’è un mondo interno di vissuti ed emozioni, che dipende dalla storia personale (dunque sarà diverso per ciascun genitore) e viene fortemente sollecitato già dal periodo in cui l’esperienza di genitorialità è ancora soltanto fantasticata. Ci sono infine altre persone che creano una rete di relazioni in cui il nuovo arrivato si inserisce, in una dimensione verticale (l’ascendenza, con i nonni e i parenti adulti delle famiglie di origine) ed orizzontale (gli altri eventuali membri della fratria, il gruppo dei pari).
La complessità del ruolo genitoriale può far sentire l’esigenza un supporto, e non c’è proprio nulla da vergognarsi: è anzi vero che arrivare prima, anche per dubbi che potrebbero sembrare banali, promuove la riattivazione di risorse personali che vanno a servizio del benessere del bambino e della serenità di tutta la famiglia.

Chi va dallo psicologo?
I protagonisti dei percorsi di consultazione e di sostegno rivolti al periodo perinatale e alla prima infanzia sono proprio i genitori: a volte si decide insieme di avere presenti anche i bambini agli incontri (ad esempio in una modalità di intervento come la consultazione 0-5) per utilizzare lo spazio della seduta come un momento di riflessione e osservazione congiunta, in cui considerare la problematica portata da diversi punti di vista e giungere ad una migliore comprensione.
Solitamente il primo incontro è dedicato ad esplorare la problematica per cui si richiede la consultazione, nonché a raccogliere informazioni sulla storia familiare e le tappe evolutive del bambino. Successivamente, sarà utile esplorare le relazioni e gli standard interni con cui i genitori si confrontano e i modelli che li guidano nel gestire la costruzione del proprio ruolo genitoriale e le evoluzioni delle relazioni adulte, anche nel confronto tra partner. Spesso i genitori in seduta apprezzano di avere uno spazio in cui potersi fermare a pensare (cosa che nella fretta del
quotidiano non si riesce mai a fare!) e scoprono dei collegamenti inediti che li aiutano ad individuare nuove strategie.
L’obiettivo dell’intervento non è quello di individuare colpe o apportare interventi correttivi, bensì fornire uno spazio di riflessione, contenimento e supporto ai genitori e favorire il superamento di un momento di difficoltà. Il compito del professionista non è quello di fornire indicazioni e consigli, anche se è quello che tendenzialmente ci si aspetta: tale metodologia può infatti acuire ancora di più la paura, spesso presente, di non essere genitori competenti, aumentando l’insicurezza.

Tra prevenzione e neuropsichiatria infantile.
Spesso uno dei preconcetti che porta ad evitare una consulenza psicologica è l’idea che si tratti di un intervento rivolto solo alle situazioni di gravità: l’ansia prodotta da questo ragionamento e dalla paura del giudizio sociale spinge spesso a rimandare (“magari cresce e gli passa”), di fatto portando a cronicizzare il problema.
E’ comunque possibile che giungano all’attenzione clinica situazioni inquadrabili in una diagnosi clinica. La classificazione attuale dei disturbi della prima infanzia più recente ed accurata (DC:0-5tm), nell’edizione italiana a cura dell’Istituto Stella Maris di Pisa, presta particolare attenzione alle situazioni di fatica di regolazione nei ritmi fisiologici e ai fattori relazionali e di stress che possono incidere sulla salute globale del bambino, costituendo un’ottima guida per l’inquadramento clinico.
In alcune circostanze si potrà riscontrare un quadro di maggiore complessità che suggerisca l’utilità di un coinvolgimento in équipe (comprendente solitamente figure come il neuropsichiatra infantile, il logopedista, il terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva) per supportare al meglio il bambino e la sua famiglia.

Dott.ssa Chiara Peloli – Psicologa e Psicoterapeuta